Il 21 febbraio di cento anni fa nasceva a Martorano di Cesena Mario Vicini, l’indimenticato campione di ciclismo degli anni ’30 e ‘40.
“E’ Gagg ad Gaibèra” (così chiamato per il colore rosso dei capelli e il soprannome della famiglia) inforca la bici per la prima volta a ben 17 anni, iniziando a trasportare cassette della frutta per conto del padre che era commerciante. Furono questi i primi allenamenti di Mario che, una volta, arrivò a raggiungere il padre addirittura a Pescara dove si teneva un mercato.
Iniziata la carriera da dilettante non tardarono ad arrivare le prime vittorie che, via via sempre più numerose, lo portarono negli anni successivi a tentare il gran salto nel professionismo. Debuttò al Giro d’Italia del 1936 al 17° posto finale in classifica e, soprattutto, 2° tra gli isolati (corridori senza squadra).
Il 1937 inizia male: la fortuna gli volta le spalle sia alla Milano-Sanremo (rottura del cambio quando era tra i primi), sia al Giro (cade fratturandosi la clavicola quando era nei primi dieci).
Nonostante tutto si riprende e, vendendo due medaglie d’oro vinte da dilettante, riesce a finanziarsi la partecipazione al Tour de France. Con una scelta coraggiosa decide infatti di correre ancora una volta come isolato (organizzando da solo viaggio, alberghi e attrezzatura e non potendo contare in corsa sull’aiuto di nessuno), per non dover stare al servizio di Bartali che sarebbe stato suo capitano nella squadra italiana, dove pure era stato ammesso.
Dopo un non incoraggiante 45° posto nella prima tappa (prima foratura sull’insidioso pavè francese), inizia rapidamente a scalare posizioni e, a soli 24 anni, s’impone all’attenzione del grande pubblico per il temperamento coraggioso e generoso. I giornalisti iniziano a soprannominarlo “il diavolo rosso” per le sue doti di scalatore che emergono in tappe durissime comprendenti l’Izoard e l’Aubisque, tra l’entusiamo crescente di tutta l’Italia sportiva specie dopo il ritiro di Bartali.
In salita Vicini è sempre tra i primi e, nonostante una discutibile penalizzazione che andrà a favore del corridore di casa Lapebie (vincitore finale, tra l’altro ripetutamente trainato dalle macchine della giuria e dalle spinte dal pubblico), arriva ad indossare temporaneamente la maglia gialla. Come ricorda magnificamente e con dovizia di particolari Dino Pieri in “Uomini in bicicletta”, fu questo un risultato davvero incredibile considerando l’assenza di una squadra, la non conoscenza del percorso e della lingua, la necessità di dover organizzare ogni cosa da solo e le ben undici forature a cui provvedere da sé con inevitabili ritardi.
Nelle tappe successive Vicini si mantiene sempre nelle posizioni di testa, terminando il Tour al secondo posto nella classifica generale e naturalmente primo tra gli isolati.
Il rientro a Cesena, dopo un mese, fu trionfale e l’exploit al Tour gli valse un contratto con la Lygie.
Nel 1938 vince in grande stile il Giro di Toscana rifilando 11 minuti a Guerra e addirittura 18 a Bartali, che sarà suo grande amico ed estimatore. Al Giro di quell’anno ottiene subito una vittoria alla 2a tappa conquistando anche la maglia rosa, ma ancora una volta è sfortunato e deve ritirarsi a causa di una caduta in discesa. Al Tour è invece 6°, segnalandosi anche per l’aiuto dato a Bartali suo capitano.
Nel 1939 si classifica 3° al Giro e soprattutto è Campione Italiano: è il primo corridore romagnolo a laurearsi campione nazionale tra i professionisti.
Nel 1940, tra gli altri risultati, vince due tappe consecutive al Giro concludendo al 4° posto finale.
A 27 anni è nel pieno della sua maturità agonistica, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale tronca di fatto la sua carriera; continuerà a correre nel dopoguerra come gregario di Fausto Coppi (col quale stringerà un forte legame come già con Bartali), continuando a cogliere piazzamenti di rilievo nonostante l’età matura.
Al ritiro dalle corse inizia la sua attività come imprenditore, dapprima con un piccolo negozio e poi con la fabbrica “Vicini”, le cui biciclette ricordano tuttoggi il suo nome grazie al lavoro di figli e nipoti. Non abbandona tuttavia l’amata bici, continuando a pedalare per passione e laureandosi anche Campione del Mondo per veterani in Austria nel 1973.
Dopo una vita di impegno, sacrifici e successi si spegne a Cesena il 6 dicembre 1995.

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